Proteggersi dal Coronavirus con il riciclo della plastica

Quella che ci troviamo ad affrontare è sicuramente una grande sfida. Il Coronavirus ha modificato e modificherà in maniera sostanziale molte abitudini quotidiane, fino a oggi ritenute “normali” e spontanee. Dovremo imparare a convivere con un virus che, se da un lato minaccia la nostra salute, dall’altro ci spinge a ricercare soluzioni immediate e concrete per reagire.

Spesso, infatti, sono proprio le situazioni più difficili ad alimentare creatività e ingegno. Anche grazie al riciclo.

È quello che sta accadendo in diverse parti del mondo, dove l’emergenza è diventata fonte di idee e innovazioni utili a proteggersi dal contagio in questo momento così delicato, una situazione con cui probabilmente dovremo fare i conti a lungo. Nel nostro nuovo articolo abbiamo raccolto alcuni dei progetti più originali per combattere il Covid-19 all’insegna del riciclo della plastica.

Nel tempio buddista di Chak Daeng, vicino a Bangkok in Thailandia, i monaci hanno iniziato a produrre maschere anti Coronavirus realizzate con la plastica riciclata. Il paese è uno dei più colpiti del Sud Est asiatico: le persone contagiate dal Covid-19 sale molto velocemente.  Probabilmente è proprio per questo motivo e per la difficoltà nel reperire dispositivi di protezione che i monaci di Chak Daeng, da sempre molto attenti alle attività sostenibili raccogliendo tonnellate di plastica riciclata per produrre abiti, hanno iniziato a realizzare mascherine protettive utilizzando fibre sintetiche estratte dai rifiuti in plastica insieme al cotone. Sulla superficie delle mascherine vengono inoltre incise preghiere buddiste di buon auspicio.

Un piccolo, grande esempio di riciclo dei materiali che fa del bene, al pianeta e alla salute.

La studentessa di Berkeley Paige Balcom e l’attivista ambientale ugandese Peter Okwoko hanno fondato Takataka Plastics, un’impresa che ricicla i rifiuti in plastica per realizzare materiali da costruzione a prezzi accessibili. In risposta a Covid-19, i due ragazzi hanno iniziato a produrre visiere per gli operatori sanitari di Gulu (Uganda). Si tratta di veri e propri schermi in plastica riciclata utili a proteggere ulteriormente gli operatori, uno strumento ancor più necessario se si pensa che gli ospedali della zona versano in gravi difficoltà e la maggior parte dei sanitari – come dichiarano gli ideatori del progetto – non ha alcun dispositivo di protezione individuale. Ci sono voluti tre giorni per realizzare il primo prototipo di visiera in plastica riciclata, successivamente testato con esito positivo dagli ospedalieri. La plastica utilizzata proviene dai rifiuti domestici che, mancando direttive locali precise, spesso vengono accumulati nelle discariche o bruciati. I fondatori del progetto hanno quindi avviato un piccolo centro di raccolta della plastica e di riciclo per realizzare prodotti economici e utili alla comunità, come piastrelle e rivestimenti, a cui adesso si aggiungono le visiere protettive. L’obiettivo è espandere il progetto con un risultato duplice: creare posti di lavoro e realizzare quantitativi sempre più importanti di prodotti riciclati preservando la salute della popolazione e dell’ambiente.

I macchinari open source di Precious Plastic vengono utilizzati per riciclare i rifiuti in plastica e trasformarli in visiere, maschere respiratorie e particolari maniglie per l’apertura delle porte senza dover usare le mani ai fini di proteggersi dal Coronavirus.

I prodotti realizzati dal riciclo dei materiali plastici vengono già utilizzati con efficacia in paesi come Germania, Spagna, Grecia, Austria e Svizzera. In particolare a Gran Canaria sono state realizzate più di 3.000 visiere per il governo e il personale ospedaliero, grazie a un sistema di stampa a iniezione in grado di produrre dispositivi di protezione individuale riciclando la plastica. In Germania, queste speciali macchine sono state utilizzate per produrre 20.000 visiere nell’area di Dresda. Tali dispositivi aiutano a proteggere chi li indossa da agenti infettivi e preservano le mascherine stesse, impedendo che si bagnino. Anche se al momento gli enti ufficiali non hanno ancora approvato i dispositivi per uso medico, si tratta di protezioni che già molti ospedali in tutto il mondo stanno utilizzando come ulteriore difesa, soprattutto vista la carenza di sistemi di protezione individuale.

Progetti che, in un momento come questo, assumono un grande valore, insegnandoci come sia necessario non perdere mai il coraggio e la spinta a trovare soluzioni efficaci. È questo che ci darà la forza per ripartire.

Il cambiamento è possibile, anche e soprattutto ora.